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  • Discorso alla città
    (al rientro della processione)
    Festa patronale - 27 agosto 2017

     

    Attraversando le vie della nostra città il nostro Santo Patrono ha posato lo sguardo sulla nostra comunità cittadina e ancora una volta è rimasto a bocca a aperta. Sì, a bocca aperta, così come lo vediamo raffigurato.
    Mi sono sempre interrogato sul perché lo scultore Salzano da Napoli avesse voluto raffigurare il Santo a bocca aperta. Forse ha voluto consegnarci in questo particolare iconografico un presagio di quel sentimento di sbigottimento che la nostra comunità avrebbe suscitato lungo i secoli.
    Oggi sono a chiedermi quali sono i motivi che lasciano a bocca aperta non solo il nostro Santo ma tutti noi, se solo per un attimo ci soffermiamo a riflettere sulla nostra comunità.
    San Ferdinando lo invochiamo quale invitto difensore del popolo gemente. Sì, siamo ancora un popolo gemente, un popolo che soffre, che stenta a librarsi in volo come un’aquila, ma ama ancora sguazzare nelle aie della mediocrità.
    Ritengo che siano tre le cause che impediscono al nostro popolo di volare alto e vivere secondo la descrizione che fu fatta delle nostre famiglie al momento della fondazione del nostro paese 170 anni fa, famiglie descritte come “felicemente ordinate in concordevole comunanza civile”, come si legge nella lapide commemorativa della fondazione del paese e che oggi possiamo vedere nella nostra Chiesa, appena si entra sulla parte di destra.
    Oggi quali motivi impediscono il raggiungimento di tale condizione? Ne indico tre: il dilagare della stupidità; la tracotanza dei furbi; il silenzio degli onesti. Questi tre tratti lasciano il Santo ancora a bocca aperta.

     

    1. Il dilagare della stupidità

    Sembra che la stupidità sia la cifra dei nostri tempi; essa impregna gli aspetti principali della vita del nostro paese.
    A fine ottocento, lo scrittore Gustave Flaubert concepì lo Sciocchezzaio (1881), un’opera che doveva raccogliere tutti i luoghi comuni, le piccolezze, le banalità della sua epoca. La versione contemporanea dello Sciocchezzaio sono i social network, ormai divenuti discariche di scorie celebrali.
    Il dilagare della stupidità con il diffondersi delle sciocchezze rischia di diventare una vera è propria emergenza umanitaria nella nostra città. Sì, l’emergenza riguarda la nostra umanità: è il nostro restare umani che è in emergenza di fronte all’imbarbarimento dei costumi, dei discorsi, dei pensieri, delle azioni che sviliscono e sbeffeggiano quelli che un tempo erano considerati i valori e i principi della nostra “concordevole comunanza civile”.

    Il pensiero va in modo particolare alle tante forme di chiusura crescenti; i luoghi comuni sciocchi e infondati sulle migrazioni, la resistenza a promuovere e testimoniare accoglienza e solidarietà da parte di crocchi di nichilisti, improvvisati attacchini di adesivi farneticanti.
    So bene che dagli stupidi è davvero difficile difendersi. Ritengo che il dilagare delle stupidità sia da attribuirsi a un fenomeno simile a quello che sta caratterizzando la stagione estiva di quest’anno: la siccità. Il nostro paese da tempo soffre di siccità culturale. Un rimedio sicuro contro la stupidità è la cultura.
    La cultura è un bene comune primario e vitale come l’acqua. I libri, i teatri, le biblioteche, i cinema... sono come tanti acquedotti. Lo sapeva bene il nostro Santo Patrono che durante il suo regno si fece promotore di molte università in Spagna.
    La cultura rende liberi e veri perché dà la possibilità di pensare con la propria testa e ti rende capace di assumere decisioni e posizioni, in modo che non sia 'qualcun altro' a farlo. La cultura fa in modo che il pensare non si fermi alle apparenze e non sia superficiale, ci aiuta a comprendere e conoscere.
    Nel nostro paese, però, di cultura non ne vogliamo sapere, perché costa ricerca, tempo e fatica.
    Si preferisce articolare le mascelle per mangiare anziché spremere le meningi per pensare.
    La cultura rende liberi, veri e onesti intellettualmente. Senza cultura si muore schiavi di qualcuno o di qualcosa. Ho la sensazione che il nostro paese ha bisogno di sentirsi sempre schiavo di qualcuno o di qualcosa. Siamo geneticamente borbonici. Ne è prova che ad ogni cambio di guardia nella gestione della cosa pubblica si assiste a nugoli di galli canterini e galline chioccianti che, con variopinto e cangiante piumaggio, in preda ad euforia isterica, sono intenti ad attendere una manciata di mangime nel cortile del potere.
    Anche la religione la si vive come forma di schiavitù. Esiste nelle nostre terre una forma di fede cattolica, che è “refrattaria al Vangelo”, affermava don Luigi Sturzo. E’ quella pseudo religiosità nutrita di ideologie fanatiche e intolleranti, stigmatizzate anche dalla nostra Carta costituzionale.
    È quella religiosità popolare che ha più di magico e superstizioso e che riduce la fede a sacre rappresentazioni e a spettacolo liberatorio; è quella religiosità che preferisce un dio usato come dispensatore di miracoli, che insegue atti magico-sacrali; è la religiosità di un dio che fomenta la stupidità credulona e ciarlatana.
    Come credenti in Gesù Cristo dobbiamo alimentare spirito di solidarietà e di impegno.
    Dobbiamo essere per tutti proposta di vita, di socialità, di novità, esperienza di incontro, luogo di fedeltà e di profezia, segno di contraddizione.

     

    2. La tracotanza dei furbi

    L’Italia è arcinota per essere il Paese dei furbi, verrebbe da dire, record atavico che viene da lontano. Peraltro, i padri dei padri dei nostri padri onoravano l’astuto Ulisse come un “eroe dal multiforme ingegno”.
    Una vera condanna sociale della furbizia, insomma, non c’è mai stata, è rimasta un po’ nel limbo, una di quelle doti che – nel giudizio comune – un po’ è meglio avere. Questione di misura, più che altro, non tanto di principio, il vero problema semmai sono i “troppo furbi”.
    Un po’ di condiscendenza c’è, ammettiamolo.
    Ora, la parola “furbo” ha un’origine un po’ incerta. Per molto tempo è stata fatta risalire al francese “fourbir”, che significa “ripulire”. Ripulire cosa? Le tasche del prossimo, dicevano i linguisti. Più recentemente pare trovare favore la tesi che la parola venga in realtà dal latino “fur” attraverso un italiano antico “furvus” che significava “oscuro”. Ma “fur” in latino vuol dire “ladro”, ha un evidente legame con la parola “furto” (cosa che certamente riesce meglio nell’ oscurità), per cui, da qualunque lato lo si guardi, quello che emerge è che il furbo è sostanzialmente un ladro, uno che si appropria di ciò che non gli spetta, l’etimologia non mente mai. Altro che condiscendenza! È qual è l'essenza della prepotenza e della furbizia? È l'ostentazione della propria superiorità rispetto a tutte le regole sociali, morali, legali e al giudizio della comunità. Il prepotente agisce sempre in modo tale da dimostrare agli altri che può fare ciò che vuole.
    Nel nostro paese l’esercito di chi, pur di perseguire il proprio utile, danneggia il prossimo arruola sempre più coscritti. E così il regno del malaffare cresce a dismisura. Quel che è peggio è che si registra quanto Il poeta e giornalista Giovanni Raboni (1932-2004) ebbe a scrivere: "Nel trionfo del malaffare…chiunque può vedere pregiudicati e delinquenti d'ogni risma e colore mettere sull'attenti compunti picchetti d'onore".
    Come reagire? Anziché fare da picchetti d’onore di questi loschi figuri davanti ai bar o a bearsi di essere commensali ai loro lauti banchetti, vi invito ad esprimere pubblica riprovazione verso gli artefici del malaffare. La riprovazione sociale è già sanzione sociale, un discredito. Nella nostra piccola comunità cittadina la riprovazione sociale deve arrivare fino alla emarginazione di chi non si adegua ai valori morali. La riprovazione sociale può essere più efficace di un sistema formale di norme e punizioni codificate. Dagli stupidi ci si difende con la cultura, dai furbi con la riprovazione sociale.
    Vi supplico: isoliamo i prepotenti, i signorotti che spadroneggiano indisturbati. Chi oltraggia la convivenza sociale col malaffare e la furbizia deve sperimentare la riprovazione sociale e l’isolamento.
    Rivolgo un accorato appello a quanti rivestono responsabilità pubbliche e ruoli di particolare rilevanza sociale: nessuno offra allo sguardo scandalizzato del cittadino onesto lo spettacolo indecoroso di accompagnarsi ai signorotti che tengono sotto scacco il nostro paese, come purtroppo sovente accade di notare. Nessuno si ritrovi a rivestire il ruolo di compagno di merende di chi trama il malaffare. I cittadini hanno bisogno di recuperare fiducia nelle istituzioni e in chiunque riveste ruoli di responsabilità.

     

    3. Il silenzio degli onesti

    “Non ho paura degli urli dei violenti, ma del silenzio degli onesti”. Questo sosteneva Martin Luther King, con gran ragione.
    Nel nostro paese l’onesto cittadino da sempre ha deciso di racchiudersi nell’angosciante silenzio dell’omertà.
    Il muro di gomma costruito dal silenzio omertoso degli uomini onesti, l’omertà degli onesti alimenta la politica degli interessi di pochi e non del ben comune.
    La nicchia omertosa e vigliacca del silenzio, nella quale è umano sentirsi come un animale in gabbia, libero di vivere ma solo in quella gabbia. Il che non significa vivere, ma sopravvivere.
    Perché tacciono gli onesti, ieri come oggi? Per ignavia, si dice, per pura concentrazione sull’interesse personale. Vero. Tuttavia è altrettanto evidente come siano attive altre dinamiche che blindano il silenzio in modo più preoccupante e trasversale. La paura e il bisogno di autoprotezione, innanzitutto. Che cos’è, se non bisogno di protezione il mostrarsi a prendere il caffè al bare con i mammasantissima del paese? Di fronte ad una malavita sempre più organizzata, e sempre più protetta, nella sostanza, dallo stesso sistema che dovrebbe giudicarla e punirla, chi osa parlare?
    Cresce quindi, spontaneamente, come un virus silenzioso e maligno, la censura personale anche verso i comportamenti devianti altrui: meglio stare zitti, per non mettersi nei guai per troppo zelo o senso civico. Tuttavia, non è solo la paura a chiudere la bocca agli onesti. E’ anche, e forse soprattutto, la sfiducia nel poter agire efficacemente per cambiare le cose. Purtroppo, il loro silenzio può portare il paese all’anarchia morale, cui è già avviato. A chi giova, tutto questo? E, soprattutto, come rimediare?
    Invito ogni cittadino, in sinergia con le istituzioni pubbliche, a rilanciare il nostro impegno a contribuire alla rinascita morale, sociale e spirituale della nostra comunità cittadina. Il tumore del malaffare va denunciato ed estirpato con determinazione, ovunque esso si annidi. Vi scongiuro: riaccendiamoci di passione per il senso civico, a costo di pagare di persona!

    Carissimi, San Ferdinando finora è rimasto a bocca aperta, sbigottito per questi tre mali che fanno emettere gemiti di sofferenza al nostro popolo. D’ora in poi facciamo in modo che egli non possa chiudere bocca nei confronti dei sanferdinandesi perché andrà fiero del fatto che avremo vinto la stupidità con la cultura, la furbizia con la passione per la moralità, il silenzio con il coraggio della denuncia e della passione per una convivenza civica di qualità e torneremo a vivere in “concordevole comunanza civile”.

     

    Mi raccomando, sanferdinandesi:
    testa alta, schiena dritta,
    mente larga e cuore grande.
    Camminiamo insieme per una rinascita morale e spirituale.
    Buona festa a tutti!

    Mons. Domenico Marrone
    parroco

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