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Domenica 12 novembre nel cuore della nostra città, a San Ferdinando di Puglia, in Piazza della Costituzione, in pieno svolgimento della Fiera Nazionale del Carciofo, si è consumato un pubblico linciaggio di chiara matrice razzista, sotto gli occhi compiaciuti e omertosi di molti a danno di quattro giovani immigrati pakistani, due dei quali sono stati trasportati in ospedale. Giovani di indole mite, a tal punto che uno di loro viene persino soprannominato l’Angelo, nella struttura di accoglienza dove risiedono.

Sono stati presi a pretesto di questo intollerabile gesto alcuni presunti tentativi da parte dei suddetti giovani immigrati di fotografare o addirittura inseguire alcune ragazze minorenni. Da accertamenti svolti dalle forze dell’ordine nulla di quanto addotto a pretesto ha trovato riscontro. Lo stesso sindaco, col quale nelle ore immediatamente successive al fattaccio abbiamo avuto una riunione con i referenti dei centri di Accoglienza straordinaria e dello Sprar presenti sul nostro territorio, e altri esponenti dell’amministrazione, ha confermato che non è stata rinvenuta alcuna prova delle motivazioni pretestuose che avrebbero scatenato il linciaggio.

Questo episodio non è che il segno più spregevole di quanto già da tempo nella nostra cittadina serpeggia nel tessuto sociale della popolazione sul fenomeno migratorio. Le tracce sono rinvenibili nei numerosi messaggi postati sui social e persino in una campagna denigratoria portata avanti da parte di crocchi di individui di matrice politico-culturale facilmente riconoscibile, attraverso adesivi con frasi discriminatorie, apposti sui pali della pubblica illuminazione, soprattutto in prossimità della parrocchia dove sono parroco, essendo stato io il promotore dell’accoglienza degli immigrati nel nostro paese dal maggio 2016.

Quanto accaduto è ancor più inquietante se si pensa allo stesso luogo dove si è consumato l’episodio: Piazza della Costituzione. In questa piazza campeggia un monumento alla Costituzione che riporta a lettere cubitali i primi 12 articoli.
Proprio all’articolo 10 si legge che “lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge”.

Dal maggio 2016 ad oggi non si è mai registrato alcun episodio che abbia potuto generare un qualche allarmismo nella cittadinanza. Gli immigrati garantiscono una presenza pacifica e rispettosa delle leggi. Certo, spesso li si vede vagare per il paese e possono dare l’impressione che stiano a bivaccare. Sono solo in attesa di veder regolarizzata la loro posizione giuridica. Anzi, molto spesso sono infastiditi dalle lungaggini burocratiche che impediscono loro di poter avere un regolare contratto di lavoro.

Mentre vagano per la città sono incuriositi da oggetti, atteggiamenti, luoghi e spesso pongono mano al cellulare per scattare foto da inviare ai loro parenti. È forse reato fotografare? E dal momento che il paesaggio della nostra città, come di qualsiasi altra città, non è quello di una savana dove si possono fotografare solo gnu, zebre, bovini, elefanti, ma è popolato anche da persone, talvolta può accadere di ritrarre anche qualche essere umano di differente aspetto ed età. Questa volta però – mi rincresce affermarlo e mai avrei immaginato che accadesse – sono caduti nell’obiettivo di occhi che sprizzavano odio, occhi di individui dalle sembianze umane, ma dagli istinti belluini. Non posso non rivolgere un appello a quanti hanno assistito allo squallido spettacolo di domenica: chi ha visto, esca dal carapace della sua omertà e denunci. Chi ha perpetrato la feroce aggressione vada ad autodenunciarsi.

L’intera comunità ecclesiale e civile è indignata e giammai deve rassegnarsi a rimanere silente e indifferente di fronte a tale degrado civico, morale e culturale. Urge un sussulto di indignazione collettiva per bloccare il progressivo imbarbarimento verso cui rischia di incamminarsi la città.

Dobbiamo attivare una rete civica di solidarietà attraverso le diverse agenzie formative e culturali per evitare che il nostro paese diventi più che una savana una giungla, un luogo in cui dominano la violenza e la lotta spietata per il predominio degli uni sugli altri; un luogo in cui i rapporti sociali sono fondati non sulla legalità e la ragione ma sulla forza, sull’egoismo, sulla volontà di sopraffazione. È necessario promuovere una cultura della solidarietà, dell’accoglienza e dell’incontro. Prima ancora di mirare all’integrazione dobbiamo persuaderci che ogni uomo è cittadino del mondo e ha diritto a muoversi su tutto il pianeta. Nell’incontro delle diversità, nel meticciato delle culture e dei popoli, la famiglia umana si arricchisce e si eleva.

don Mimmo Marrone

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